Intrecci. Nari Ward, Hansel & Gretel di Lorenzo Mattotti e Neil Gaiman: una ipotesi di dialogo.
Se c’è una cosa che mi piace fare è osservare. Da che ho memoria, mi sono sempre persa nel guardare con attenzione quello che mi circonda, dedicare del tempo ad allenare la lettura visuale nel contesto in cui mi trovo, per poi analizzarlo e narrarlo, anche solo a me stessa. Sarà per questo motivo che tanti anni fa ho deciso di laurearmi in Scienze dei Beni Culturali, indirizzo storico artistico.
Quando ho visitato la mostra di Nari Ward: Ground Break, attualmente in esposizione presso Pirelli HangarBicocca a Milano, è stato semplice essere travolti dalla sua ricerca e sperimentazione.
Nari Ward è un’artista nato a St. Andrew (Jamaica), attualmente opera e risiede a New York, affronta temi legati a diversi aspetti sociali e politici, a concetti di identità, giustizia, questioni razziali e memoria.
Il suo è uno spazio dove l’artista vuole: “che il pubblico sperimenti uno spazio visivo ed emotivo che combina poesia, immaginazione e memoria e che esprime una volontà di essere, di dare forma e di cambiare” citando le sue parole presenti nella guida alla mostra curata da Roberta Tenconi con Lucilla Aspesi.
La mostra è sicuramente un’esperienza che riesce perfettamente a raggiungere tutti gli intenti che Ward vuole offrire al visitatore.
Tra le opere che hanno colpito la mia attenzione c’è senza alcun dubbio “Hunger Cradle” (1996-2024), opera che apre l’esposizione e ti conduce verso gli altri ambienti.
“Hunger Cradle” è un’installazione di grandi dimensioni, site specific, che ha iniziato a prendere forma nel 1996 in occasione della mostra “3 Legged Race” organizzata da Nari Ward con altri due artisti: Janine Antoni e Marcel Odenbach in una ex caserma dei pompieri ad Harlem. Una installazione che cambia, si evolve, si adatta a secondo del luogo che la ospita, un’opera immersiva per il pubblico che, in questo caso, si trova ad essere avvolto dalla struttura, che ti invita a rallentare, a essere presente a guardare tutti quegli oggetti del quotidiano che sono intrappolati nell’opera costituita da corde intrecciate. Gli oggetti sono di seconda mano, trovati, abbandonati che cambiano di volta in volta; l’installazione muta e si arricchisce di elementi che richiamano il luogo nel quale l’opera è ospitata.
Eccomi a muovere i primi passi dentro la struttura, cammino in un bosco fatto di luce, ombre, oggetti e corde: lo sguardo è rapito e il pensiero subito va a domandarsi: chi avrà letto quel libro incastrato lì? A chi sarà appartenuto quell’oggetto? Rapita, mi muovo un passo dopo l’altro, sto vivendo nella mia fiaba personale.Ward vuole ridare vita a oggetti che altrimenti sarebbero stati dimenticati e privati del loro significato simbolico e sociale, nell’unione nascono così nuovi significati, nuove dimensioni che generano o vogliono generare un senso di speranza permanente.
La speranza. La stessa che ritroviamo nel contesto della fiaba. Il groviglio di corde di Ward vuole essere luogo di protezione e trasformazione, questo concetto di cambiamento, l’aggrovigliarsi delle corde intenso, solido e forte mi ha catapultato nella foresta di Mattotti in Hansel e Gretel (N. Gaiman e L. Mattotti (2018), Roma: Orecchio Acerbo). La storia è conosciuta e qui reinterpretata da Gaiman e Mattotti in chiave contemporanea, pur rimanendo fedele alle atmosfere della fiaba classica.
Lorenzo Mattotti non ha bisogno di presentazione, la sua maestria e indagine coloristica ed emotiva è nota a tutti gli amanti della letteratura per l’infanzia e dell’arte in generale, è indubbio che in quest’opera si può arrivare a respirare a pieni polmoni il talento di questo grande artista.
Il gioco bicromatico tra nero e bianco, non lascia indifferente nessuno, dall’adulto al bambino: vieni trascinato, diventi Hansel e Gretel, in un bosco, da soli e consapevoli, in fondo, che i tuoi genitori non torneranno a prenderti.
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